Prima metà degli anni ‘60.
Liceo Artistico Nicolò Barabino in via Liri a Genova, IV A
Nascosto dietro al pesante cavalletto di ferro guardo la modella e con angoscia il grande foglio
di carta spolvero sul quale ho appena tracciato gli assi e le triangolazioni per inquadrare le immagini
e le sue proporzioni. La mano che guida la matita è sorda agli stimoli della volontà e la
gomma diventa protagonista.
All’ennesima cancellatura, dopo una rapida occhiata all’insegnate Rocco Borella, il mio interesse
passa dall’oggetto da rappresentare ai compagni e alle compagne che, in piedi, lavorano - non
tutti per la verità - con lena e concentrazione e ciò aumenta la mia sensazione d’incapacità.
Vedo il serioso Pietro - l’allievo prediletto, con ragione data la sua bravura sul modellato, del professor
Lorenzo Garaventa - che concentrato costruisce un’immagine robusta scultorea, e lo stesso
fa Angelo; guardo Giorgio e mi stupisce la sua capacità di sintesi, l’abilità d’impressionare l’immagine
con pochi segni, sottili, nervosi, tracciati velocemente, carichi di incisiva e lieve espressività;
guardo Carmen che con puntiglio didattico riproduce l’immagine nei dettagli con precisione
e pulizia del segno. Mi soffermo a guardare l’egocentrico Orazio e l’anarchico Luca che, con
la loro connaturata guasconeria (che io timido ragazzo di paese, annoto con invidia), azzardano
(con spavalda faccia tosta) un’improbabile interpretazione espressionistica del soggetto; incrocio
lo sguardo ammiccante e scapigliato di Roberto che sembra più interessato a corteggiare le
compagne che a disegnare; guardo le due Patrizie così diverse tra loro ma entrambe molto
belle, che si contendono il primato delle compagne più desiderate da noi maschietti - intente
con noncuranza a disegnare diligentemente e con risultati niente male; se la cavano molto bene
anche “l’inglesina” Elena dall’anglosassone flemma e la sua inseparabile e diligente amica Franca.
Guardo distrattamente Eleonora, Emma, Stefania, Mauro detto “bambolina”, Gianni, Guido e il
nobile decaduto Alberto.
In quella posizione stand by immagino quale potrà essere la strada che ognuno di noi percorrerà,
certamente Pietro e Angelo diventeranno scultori ed anche bravi; Luca, Giorgio, Elena,
diventeranno ottimi pittori; Orazio, Patrizia ed altri faranno certamente gli architetti, altri come
Carmen seguiranno la carriera dell’insegnamento; a me riservavo grandi aspettative sul palcoscenico
(il teatro, che passione!); per Roberto Boero intravedevo un futuro da “vitellone”.
Questi ricordi mi sono riaffiorati alla mente durante la visita alla mostra di Roberto Boero e non
ho potuto che constatare quanto sia stata fallimentare la mia capacità profetica. Mai previsioni
sono state più errate: chi manifestava vocazione artistica e da bohemiene è diventato un azzimato
architetto tutto giacca e cravatta, l’anarcoide è oggi un disciplinato insegnante, chi sembrava
destinato inevitabilmente a diventare un noto professionista nel campo dell’architettura si
ritrova impiegato comunale, o moglie e madre casalinga e chissà che altro.
C’eravamo lasciati nell’estate del 1969 dopo uno spossante esame di maturità: addio alle nostre
belle aule inaugurate da pochi mesi (c’eravamo trasferiti nel nuovo liceo in via Orti Sauli) avevamo
lasciato la vecchia e affascinante sede di via Liri che ci aveva ospitato per quasi tutta la
nostra avventura scolastica addio ai nostri insegnanti di materie artistiche che avevano i nomi di
Borrella, Basso,Verzetti, Petrolini, Bassano, Garaventa, nell’assoluta incoscienza di essere stati allevati
dai più importanti maestri dell’arte. Lo avremmo scoperto negli anni successivi.
Alcuni di noi, per la verità, hanno incrociato i propri percorsi di vita per amicizia o per lavoro, la
maggior parte ha percorso sentieri diversi e lontani fra loro.
A volte, anche questi ultimi si sono intersecati dopo decenni. Così è stato tra me e Roberto
Boero. Ci siamo ritrovati per ragioni professionali estranee all’arte, ma abbiamo constatato che
ci accomunava oltre che il passato anche il presente. Smentendo clamorosamente le mie antiche
previsioni, entrambi - a differenza della maggior parte dei nostri compagni del liceo - operiamo
nel campo dell’arte visiva, io come gallerista e cronista dell’arte, Roberto come pittore e
che pittura intrigante la sua.
Tramite la semplificazione degli elementi figurativi, tradotti e combinati in formule geometriche
solo apparentemente reiterate, intese come essenza della “visione”, Boero sublima il racconto.
Ne sortiscono immagini ieratiche, preziose, sospese nello spazio e nel tempo, intarsi cromatici
e grafici, luminosi e trasparenti, grazie anche all’uso dell’acquarello, pittura trasparente e luminosa
per eccellenza, e ad un segno grafico sottile e nient’affatto invadente anche se essenziale alla
costruzione delle immagini.
Il pensiero corre inevitabilmente alle vetrate gotiche, all’art nouveau, all’arte orafa, alla agemina,
e si sofferma su una constatazione semplice e curiosa assieme; la capacità di coniugare ed utilizzare
sapientemente ai fini espressivi due polarità generalmente contrarie, contrapposte: sintesi
e analisi.
Caro Roberto, ti do atto che mi sbagliavo quando pensavo che t’interessavi solo alle gambe delle
nostre compagne.
"Angelo Valcarenghi"
Roberto Boero è nato a Roma nel 1947,trasferitosi giovanissimo a Genova in questa città è vissuto e vive tutt'ora.
Diplomatosi al Liceo Artistico "Nicolò Barabino" di Genova si è successivamente laureato in Architettura.
Dopo una sua iniziale attività di progettista nell'edilizia presso gli ex I.A.C.P.,ha svolto successivamente
la sua attività progettuale presso i Musei Civici di Genova,e prestando la propria consulenza in tale campo
museografico in alcuni paesi del mondo arabo e orientale.
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